Storia della crittografia
Crittografia medioevale
Crittografia nel rinascimento

In questo periodo la crittografia viene usata solo per celare i nomi propri, con la sostituzione di una lettera con quella successiva dell'alfabeto regolare (A con B, B con C ecc.), ma limitando tale sistema alle vocali, cifrate a volte con gruppi di punti, secondo il sistema di Enea il tattico.

Verso l'anno mille compaiono i primi alfabeti cifranti o monografici. Essi sono usati successivamente soprattutto nelle missioni diplomatiche tra i vari staterelli europei, particolarmente da parte delle repubbliche marinare e dalla corte papale di Roma e a partire dal XIV secolo.

Si usano i cosiddetti nomenclatori, ossia liste di parole chiave del gergo diplomatico abbreviate con un solo segno; ne troviamo molti esempi tra i secoli XIV e XVIII.

Un altro sistema è quello usato dall'Arcivescovo di Napoli, Pietro di Grazia, tra il 1363 e il 1365 in cui le vocali sono sostituite da semplici segni e le vocali scritte in chiaro funzionano da nulle; nelle ultime lettere il procedimento è applicato anche alle consonanti più frequenti (l,r,s,m,n), che a volte erano cifrate anche con altre lettere alfabetiche.

Nel 1378, dopo lo scisma di Avignone, l'antipapa Clemente VII decise di unificare i sistemi di cifrature dell'Italia Settentrionale ed affidò tale compito a Gabriele Lavinde; in Vaticano è conservato un suo manuale del 1379.

In esso ogni lettera è cifrata con un segno di fantasia, in alcuni casi vi sono delle nulle, in altri vi sono delle nomenclature; le vocali sono trattate come le altre lettere, come in una cifra del 1395 di Mantova.

Dagli inizi del XIV secolo, per depistare i tentativi di analisi statistica delle frequenze, si iniziano ad usare più segni per cifrare una stessa vocale come possiamo leggere in una cifra con più di tre segni diversi per ogni vocale, ma senza nulle e senza omofoni conservata sempre a Mantova del 1401.