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La crittografia a Venezia nel XV e XVI secolo
Nomenclatori veneziani, archivio - Un dispaccio cifrato da Costantinopoli

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Le prime tracce di scritture occulte nella repubblica di Venezia risalgono al XIII secolo, ma si tratta di normali messaggi in chiaro con solo alcuni nomi e parole in cifra. In molti messaggi si usano linguaggi a frasi o nomi convenuti o convenzionali.

L'uso sistematico delle cifre inizia a Venezia nel XV secolo. Il più antico messaggio cifrato conservato all'archivio di stato di Venezia è la lettera del doge Michele Steno a Fantino Michiel e Bartolomeo Nani del 28 giugno 1411, un monoalfabetico con omofoni e un limitatissimo repertorio. Nei messaggi diplomatici di questo secolo è usuale cifrare solo le parti più delicate, lasciando in chiaro il resto. Alla fine del XV secolo acquista grande fama Giovanni Soro, sia come progettista di cifrari, sia come crittanalista per i suoi rimarchevoli successi nel decrittare un gran numero di cifre nemiche. Sotto la sua guida l'ufficio cifra veneziano diventa probabilmente il più avanzato tra quelli degli stati europei.

Nel XVI secolo sono in uso nomenclatori con una base monoalfabetica con omofoni e nulle, sillabari, e un dizionario/repertorio di parole o prefissi. Di questo tipo è la cifra diplomatica usata dai baili di Costantinopoli nella corrispondenza con Venezia; anche in questo caso le lettere sono in parte in testo chiaro e in parte in cifrato. Si tratta in effetti di un vero e proprio codice che usa però ancora segni di fantasia.

Nella seconda metà del XVI secolo i segni di fantasia sono progressivamente abbandonati a favore di segni formati da lettere e numeri in varie combinazioni: a) due lettere scritte come base ed esponente, per esempio. Lz mx; b) una lettera e un numero di una o due cifre, per esempio L32 m3. Ne guadagna la semplicità d'uso, gli addetti alla cifra non devono più imparare a leggere e scrivere nuovi segni, bastano lettere e numeri appunto. La sicurezza del codice non ne risente, ovviamente. In questo periodo le due figure chiave della crittografia veneziana sono quelle di Hieronimo di Franceschi e Pietro Partenio.

A partire dagli anni intorno al 1600 si diffondono sempre più cifrari fatti solo di numeri, nella maggior parte dei casi di tre cifre; l'uso di numeri è ancor più semplice e pratico e resterà in uso fino al XX secolo. Nel corso degli ultimi due secoli della Serenissima si afferma sempre più la tendenza alla semplificazione, con liste cifranti sempre più ordinate, per esempio le sillabe inizianti con B si cifrano così BA=511 BE=512 BI=513 BO=514 BU=515; ne risulta facilitata l'operazione di cifratura, ma anche quella del nemico che tenti di ricostruire il cifrario. Nel Settecento la decadenza crittografica fa ulteriori passi avanti: uso delle cifre sempre più raro, cifrari sempre più ordinati e quindi sempre più deboli. Uno degli ultimi cifrari della Repubblica mostra solo un monoalfabetico e un sillabario, entrambi ordinati con notevole indebolimento della sicurezza. I tempi di Giovanni Soro, sono ormai lontani, mentre è vicinissima la caduta della Serenissima (1797).


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