Storia della crittografiaLa crittografia nella Grande Guerra
La Crittografia italiana nella Grande Guerra
Luigi Sacco
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All'inizio del XX secolo la crittografia in Italia, che pure vantava tradizioni di tutto rispetto (L.B.Alberti,Bellaso, Porta), aveva toccato uno dei suoi livelli più bassi; basti pensare che era ancora in uso il cifrario militare tascabile, una variante della tavola di Vigenere di cui da tempo era noto un metodo di decrittazione (quello del Kasiski). Altro esempio può essere quello del cifrario 1 2 3.

Quando il 24 maggio 1915 l'Italia entrò nella Grande Guerra l'Esercito Italiano era in grado di intercettare i messaggi austriaci, ma non di decrittarli perché non disponeva di un Ufficio Cifra! Lo Stato Maggiore dell'Esercito (in seguito: SME) inviò nel luglio 1915 il cap. Sacco, in Francia presso il gran quartier generale di Chantilly, per cercare accordi con i francesi in campo radio-telegrafico e crittografico, valendosi dell'aiuto del ben organizzato ufficio cifra francese.

Sacco tornò in Italia con l'accordo che gli italiani intercettassero i messaggi austriaci e li passassero ai francesi perché fossero decrittati e rimandati in Italia. Ma la collaborazione con i francesi si rivelò insoddisfacente; i crittanalisti d'oltralpe riuscirono a decrittare diversii messaggi austriaci, ma con ritardi spesso notevoli ed erano numerosi i messaggi inviati in Francia e mai restituiti.(*)

Nei mesi successivi Sacco si dedicò all'organizzazione del servizio di radiogoniometria e radiointercettazioni; il 5 ottobre 1915 si trasferì a Codroipo che divenne la sede dell'ufficio RT, con stazioni di intercettazione a Osoppo, Latisana, San Daniele del Friuli. Ma i messaggi intercettati erano in buona parte cifrati e dovevano essere inviati in Francia con risultati insoddisfacenti.

Spazientito da questa situazione Sacco cominciò a studiare da sé i messaggi cifrati ottenendo qualche primo parziale risultato. Nella primavera 1916, anche a seguito di un colloquio(*) con il col. Marchetti del Servizio Informazioni dello SME, Sacco cominciò ad organizzare un gruppo di lavoro crittografico, sempre nell'ambito dell'ufficio RT di Codroipo.

Sacco riuscì presto a decrittare qualche frammento di cifrato e in autunno anche interi crittogrammi tedeschi intercettati dalla regione del Danubio, dopo che la Romania era entrata in guerra, come risulta dal taccuino luglio-ottobre 1916 ritrovato tra le sue carte; ma fino a ottobre 1916 rimase a Codroipo continuando a occuparsi in parallelo di radio-intercettazione e di crittografia.

Alla fine, il 31 ottobre 1916 Sacco lasciò Codroipo per Roma, dove fu finalmente creato un reparto crittografico nell'ambito del Servizio Informazioni dello SME; l'ufficio(*) aveva sede in un appartamento di un palazzo di fronte al palazzo delle esposizioni, in via Nazionale, pieno centro di Roma, dissimulato come ufficio commerciale. Tra i suoi collaboratori erano Tullio Cristofolini, Mario Franzotti e Remo Fedi. Per quanto se ne sa gli Austriaci non ebbero mai sentore dell'esistenza di un reparto crittografico italiano. Il Ronge nel suo libro non ne fa menzione.

Un primo significativo successo si ebbe nel gennaio 1917 con la decrittazione del radiogramma relativo al viaggio del gen. Falkenhayn in Grecia; il radiogramma fu decrittato anche dai ben più attrezzati crittanalisti inglesi, ma era comunque il segno che l'ufficio cifra italiano era ormai autonomo ed in grado di competere con i più quotati uffici degli alleati francesi ed inglesi.

Nel 1917 e ancor più nel 1918 il reparto crittografico riuscì a forzare diversi cifrati austriaci e tedeschi, tra i quali il cifrario campale austriaco, quello diplomatico, e quello navale e alcuni cifrari tedeschi in uso nei Balcani, Nel suo Manuale di Crittografia Sacco ricorda la decrittazione dei crittogrammi di Conegliano, episodio ricordato anche nei libri di David Kahn e di Friedrich Bauer e la decrittazione del cifrario diplomatico austriaco descritta in dettaglio al par. 111.(*)

Paradossalmente però ci volle la disfatta di Caporetto nel 1917 perché il Sacco riuscisse a convincere lo SME ad abbandonare molti vecchi e deboli cifrari, che come poi si seppe venivano facilmente decrittati dagli austriaci, e di adottare quei nuovi più sicuri sistemi che avevano fino allora rifiutato perché troppo complicati! Unica attenuante per questa incredibile leggerezza il fatto che gli alti comandi italiani, a differenza di quelli di altri paesi, evitarono sempre di trasmettere per radio i messaggi più importanti.

L'aver decrittato diversi messaggi austriaci ebbe un'importanza non trascurabile nel giugno 1918, per respingere l'offensiva austriaca nella seconda battaglia del Piave.


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Riferimenti bibliografici
X Il col. Caleffi del Servizio Informazioni dello SME racconta in un suo articolo sul Corriere della Sera dell'agosto 1957, che, disperati per la situazione, ci si era affidati a un singolare personaggio il tenente Rivetta, noto per le sue abilità enigmistiche ma che non riuscì a venire a capo di nessun messaggio cifrato.
X Sacco avrebbe detto in tale occasione: "Se i Francesi sono riusciti in questa impresa, non vedo perché non dovremmo riuscirci anche noi".
X È dubbio il nome esatto dell'ufficio; reparto crittografico come lo chiama Marchetti nel suo libro, o ufficio crittografico come lo chiama Sacco nel suo manuale?
X Nel par. 111 Sacco parla genericamente di cifrario importante; solo nella III edizione, quella del 1947, liberato dal segreto militare, rivela in modo indiretto al par. 157 che si trattava del cifrario diplomatico austriaco.